mercoledì 30 giugno 2010

Quando il viaggio finisce


«Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: "Non c'è altro da vedere", sapeva che non era vero. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l'ombra che non c'era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. Il viaggiatore ritorna subito».

(da Viaggio in Portogallo, Josè Saramago).


Ho iniziato a leggere Saramago perché una mia carissima amica mi aveva parlato di “Viaggio in Portogallo” e mi sono subito innamorata del suo scrivere, del suo modo di narrare di terre, genti, emozioni così diverse tra loro eppure così profondamente legate. Saramago non era solo uno scrittore, era un uomo intelligentissimo, un profondo conoscitore dell’animo umano. Aveva la saggezza e l’umiltà di chi il suo sapere non l’ha costruito sui libri (era un autodidatta) ma tra le persone, nel mondo. Qualcuno ha detto che la scrittura di Josè Saramago è un flusso d’amore, che dal cervello nasce, nel cuore si forma, nella gola scoppia, e in pianto è sulla sua carta. Ed è per questo che ho voluto ricordarlo in questo blog. Perché oltre a lui in questo triste mese se ne sono andati anche due giovani miei amici. Due morti assurde, di quelle che non riesci a realizzare che sia accaduto veramente. Ed il pensiero si ferma e si strozza in gola per poi rompersi nel pianto.

Ad Alessandro e a Mirco.